I ACCENNO

 

L’Oracolo ti sta aspettando... ancora risuonavano queste parole tra le membra di Albert.
Uscirono dalla loro casa sulla radura e percorsero un lungo sentiero, costeggiando il lato destro del Monte Caorla. Cam­minarono sino ad arrivare a un boschetto, sul limitar di un Lago dalle acque calme e di un color azzurro denso. «Sediamo qui e aspettiamo, lui arriverà» disse Isaide. Isaide prese ad accendere un fuoco, mentre Paride si adden­trò all’interno del boschetto.
Albert si sedette vicino al fuo­co e prese a scaldarsi. Isaide intonò una dolce nenia. Albert pensava alla sua Suzanne, ai suoi dolci occhi, a quanto amava il suo sorriso, ai suoi figli, a Luca e George. Luca... avrebbe dovuto accompagnarlo alla partita di calcio quel giorno! Chi l’accompagnerà? Forse arriverò in tempo? si chiese preoccu­pato, mentre, un brivido lo percorse lungo tutta la schiena. E se io non dovessi arrivare mai più... in tempo ?... subito ricac­ciò indietro gli assillanti pensieri.Paride, di lì a poco, comparve con un fagiano dalle piume gialle e un’anatra dai colori variopinti. Li porse entrambi a Isaide, che prese a pulirli per cucinarli. Il fuoco crepitava e ora le carni cuocevano diffondendo nell’aria un gradevole profumo.
Mangiarono a sazietà. I boschi, lì, erano ricchi di selvaggina. Stavano sgranocchiando qualche frutto, scaldandosi vicino al fuoco, quando prese ad alzarsi un forte vento. «Eccolo, sta arrivando» disse Paride. Tutti e tre si alzarono in piedi e dal limitare del bosco uscì un vecchio. 
Camminava, il vecchio, appoggiandosi a un bastone. Era vestito di una lunga tunica di lino, cinta alla vita da una cor­da. Ai suoi piedi dei calzari bianchi. Aveva capelli grigi e una lunga barba grigia ed i suoi occhi, risaltano sul suo viso, azzurri come il cielo. Nella sua mano destra, un grande anello con una pietra bianca si snodava, risalendo lungo tutto il braccio destro sino alla spalla, avvolgendosi come un grande bracciale tempestato, qua e là, di smeraldi.

 


 

II ACCENNO

 

Il Giuramento solenne fu fatto e la Nuova Alleanza sugel­lata.
Si ricomposero dopo pochi attimi.
Istriode riassunse brevemente: «Bene, ciò che si doveva dire è stato detto. Domani avrà inizio il vostro viaggio. Inizierà varcando le terre del Maligno con l’attraversamento del Fiu­me Rosso, siate cauti!
Noi vi controlleremo tramite la Boccia del Tempo. Ancora una cosa, nel mondo parallelo del Mali­gno, non vi è l’alternarsi del giorno e della notte. Vi è soltanto il giorno. Quando la luna, che giace nel cielo insieme al sole, si tingerà di rosso, sappiate che quella è l’alba di un nuovo giorno. Farete una tacca, per ogni nuovo giorno, sul fodero di cuoio della Spada»
«Dovremo nuovamente cospargere i nostri corpi con quelle erbe che utilizzai io, prima di immergermi nel Fiume Rosso per uccidere la Grande Serpe?» domandò Albert.
«Non essendoci più la Grande Serpe, non dovrebbe essere necessario. Ma è necessaria la massima prudenza! quindi pen­so sia meglio cospargere i vostri corpi con quelle erbe. Anche perché, risalita la sponda opposta, il vostro stesso odore verrà confuso con altri odori» suggerì Istriode. 
«Che la sorte vi sia propizia» disse l’Oracolo.
«L’appuntamento è per domani mattina dinnanzi casa, alle ore otto» disse Istriode che, alzatosi, salutò e uscì di casa scom­parendo all’orizzonte.
«Siate puntuali» aggiunse l’Oracolo.
Sopraggiunse un lieve soffio di vento e anche l’Oracolo svanì.
Risuonò la campanella di Mistela che li scrollò dai loro pen­sieri.
«È pronta la cena» esclamò Isaide.
«Avrebbero anche potuto fermarsi a cenare con noi» ag­giunse Albert.
«Avranno altre cose da fare» disse Paride aggiungendo: «Chissà quali delizie avrà preparato la nostra Mistela».

 


 

III ACCENNO

 

Dalle acque prorompenti della cascata giungevano su di loro gli schizzi d’acqua. Erano madidi di sudore, stanchi, ma dovevano proseguire il cammino. Si rialzarono dopo poco e decisero di continuare a tenersi legati, tramite le corde, dovendo percorrere un sentiero forse impervio e che non conoscevano. Ora, tutti e tre in piedi a lato della cascata, stavano osservando il passaggio che si apriva ai loro occhi sotto le acque della cascata. Il passaggio era come rientrato nella roccia stessa del promontorio, al riparo dalle stesse acque.
Era un passaggio ombrato, i raggi del sole a fatica riuscivano ad illuminarlo filtrando oltre le prorompenti acque. Albert attivò il Terzo occhio e si concentrò. Cominciarono ad addentrarsi. Il passaggio era abbastanza comodo. Ogni tanto si doveva fare attenzione al soffitto che, in talune zone, era più basso. Qua e là dell’acqua stagnante formava delle piccole pozze un po’ melmose dovute, senz’altro, ai numerosi schizzi d’acqua che provenivano dalla cascata. Stavano proseguendo in fila indiana, quando da lontano parve loro di scorgere il profilo di una sfinge. Era posta nel sentiero, al riparo dalla cascata, vigile e attenta, ed il suo sguardo volto verso le verdi acque della cascata stessa. Paride, Albert ed Isaide fecero appena in tempo a soffermarsi che la voce dell’Oracolo risuonò come un eco tra di loro. «Fermi dove siete!».
L’Oracolo, in quel mentre, era inginocchiato all’ombra della grande quercia.
Inginocchiato vicino a lui era Istriode. Insieme seguivano i loro amici nel loro impervio percorso. L’Oracolo strofinava la Boccia del Tempo, poneva su di essa il suo bianco anello e, la Sfera di vetro lasciava intravedere i loro amici; ma essa faceva anche intuire i possibili pericoli. D’un tratto, l’anello bianco dell’Oracolo sembrò diventare incandescente. Una luce sembrò irradiarsi dall’anello che egli stesso aveva al dito, sino a risalire lungo il bracciale tempestato di smeraldi che si snodava, risalendo, sul suo braccio stesso sino ad illuminar la fronte dell’Oracolo. Egli intonò una dolce nenia. Un messaggio di imminente pericolo stava a lui giungendo. La Sfinge era posizionata a difesa di quel passaggio. Chiunque avesse oltrepassato il sentiero, passando dinnanzi a lei, sarebbe stato inghiottito dalla terra stessa che si sarebbe aperta sotto i suoi stessi passi. L’unico modo per oltrepassare quella soglia era passare dinnanzi alla sfinge. Ma il passaggio, anche soltanto di una persona, avrebbe creato un’ombra dinnanzi a lei che, anche se solo per pochi attimi, avrebbe oscurato la sfinge dai tiepidi raggi del sole che filtravano tra le acque della cascata. La variazione di luce, avrebbe fatto scattare un meccanismo che creando un vuoto sotto i loro stessi piedi, li avrebbe fatti cadere in un baratro tra le impervie rocce.